Le prime opere di bonifica che permisero gli stanziamenti di popolazioni nella pianura padana sono attribuibili agli etruschi, ma è ai romani che dobbiamo le opere imponenti di regimazione delle acque e della loro distribuzione. Furono infatti i romani, nel II Secolo a.C., a utilizzare in Romagna le prime tecniche di sistemazione idraulica-poderale delle "terre alte" della fascia pedecollinare appenninica per rendere coltivabili i terreni, regimando le acque verso valle. La Centuriazione Romana ancora oggi disegna il territorio a cavallo della Via Emilia, Decumano principale del sistema padano. Anche parte delle "terre basse" furono centuriate, come testimonia il Decumano Dismano che collega Ravenna con Forlì, centuriazione oggi difficilmente visibile data la bassa giacitura della pianura costiera e le dinamiche mare-paludi-entroterra che da sempre caratterizzano questi territori, di fatto le acque si impaludavano nella piana di retro costa.
I Romani, oltre ai canali irrigui per lo sviluppo agricolo, costruirono canali navigabili: la Fossa Augusta, realizzata su ordine dell’imperatore Augusto, collegava Ravenna a uno dei numerosi rami del delta del Po per potenziarne il ruolo di cerniera tra navigazione padana, lagunare e adriatica.
IL MEDIOEVO
Con la caduta dell’Impero Romano e l’insediarsi dei re “barbari”, una profonda crisi economica provocò una profonda crisi nel modello agricolo che la pax romana aveva garantito nei secoli precedenti. Le zone rurali si spopolarono, le città restrinsero la cerchia e si chiusero su sé stesse. Nell’Alto Medioevo le strutture idrauliche delle “terre basse” della piana costiera furono progressivamente abbandonate: la palude dominava le province di Venezia, Ferrara e Ravenna fino alle porte di Bologna. In questo periodo il governo delle acque era legato alla navigazione intralagunare che favoriva un florido commercio. Questa situazione permase sino al 1200 - epoca comunale – quando Ravenna e gli altri insediamenti della piana non ricevevano più dagli altri Comuni i prodotti alimentari. Per avere terreni coltivabili vennero allora localmente attuate azioni di bonifica per colmata.
Ma alla fine del VI sec. si diffusero luoghi che non conobbero questa crisi: i monasteri. Le importanti opere idrauliche realizzate dai monaci benedettini accompagnarono la graduale organizzazione e regolamentazione a livello pubblico della bonifica.
I monasteri divennero floridi centri agricoli avanzatissimi assumendo i tratti di vere e proprie aziende agricole alimentate dalla regola Benedettina dell’Ora et labora. Per avere disponibilità di terreni da coltivare erano necessarie opere di prosciugamento, irrigazione e di difesa delle acque. Le terre paludose e i boschi allagati vennero prosciugati dai monaci grazie a canali che derivavano a mare l’acqua raccolta, aumentando così le superfici coltivabili. I monaci costruivano canali di irrigazione e laghi artificiali al fine di distribuirle durante le siccità e massimizzare le produzioni.
Il forte sviluppo dell’agricoltura portò a una fioritura commerciale che accompagnò il passaggio all’Età Comunale.
Età comunale
A questo periodo sono riconducibili le prime opere di arginatura dei fiumi romagnoli per condurli a mare. I fiumi romagnoli, infatti, si perdevano nella grande valle Padusa che si estendeva dal Po a Cervia, non riuscendo ad arrivare al Po per le basse giaciture del terreno. La diversione dei fiumi mediante arginature permise di creare aree paludose più piccole da bonificare per colmata e ricavarne terreno agricolo.
Erano bonifiche di modesta entità: l’assetto moderno del territorio si devono alle grandi bonifiche, iniziate nel‘500.
In Età comunale gli statuti dei grandi Comuni e delle comunità rurali accolsero numerose sezioni riguardanti la regolazione e la derivazione delle acque, la costruzione e manutenzione degli argini, dei ponti, delle strade e dei canali di prosciugamento o di irrigazione.
Per la realizzazione di tali opere si diede impulso a un nuovo apparato normativo teso a regolare i rapporti tra il pubblico e privati nell'opera di conquista, difesa e godimento delle terre e delle acque.
Sorsero così i Consorzi, originariamente libere associazioni di proprietari che insieme si occupavano dell’esecuzione e della manutenzione di opere di bonifica. Tali associazioni vennero poi incentivate e agevolate dai Comuni, che regolarono le derivazioni d’acqua dai fiumi e le servitù d’acquedotto ed irrigue.
I Consorzi divennero poi obbligatori, e venne introdotto il persistente principio della partecipazione alle spese in ragione dell’interesse alle opere.
In Romagna il primo intervento idraulico "registrato dalla cronaca" fu il piano di prosciugamento proposto nel 1303 da Lamberto da Polenta al Consiglio di Ravenna.
ETÀ MODERNA
Il '500 vide l’inizio delle grandi bonifiche per colmata dopo secoli di incuria dovuti a guerre continue. Sulla scia delle bonifiche benedettine del XII secolo, vennero risanate vastissime aree, ricondotte a cultura con opere immani che richiesero decenni di lavoro ed enormi capitali. Per volere dello Stato Pontificio imponenti bonifiche per colmata prosciugarono, nei secoli, le paludi della piana alluvionale.
È databile al 1531 l’inizio della bonifica Clementina alla quale succedette la bonifica gregoriana (1578) e successivamente la Grande bonificazione Maggiore (1600).
I "capitoli delle acque"
Furono emanati a Ravenna i primi provvedimenti conosciuti in Italia per il governo delle acque: i Capitoli delle Acque ripartirono il territorio prima in sei, poi undici, regioni d'acque, embrioni dei Consorzi, amministrate direttamente dai possidenti terrieri.
Il periodo napoleonico
Per volere di Gioacchino Murat, nel novembre 1808 venne istituito il Corpo degli ingegneri di Ponti e Strade, futuro Genio Civile, che operò per la gestione tecnica dei fiumi, mentre la gestione dei canali e dei corsi d’acqua minori venne attribuita ai Circondari amministrati da Deputazioni di possidenti.
LO STATO UNITARIO. La bonifica diventa legge
È riconducibile alla "legge Baccarini"” del 1882, "Norme per la bonificazione delle paludi e dei terreni paludosi", la prima legge a carattere nazionale e sistematico sulle bonifiche. La Legge Baccarini per la prima volta poneva il problema della personalità giuridica dei Consorzi, implicita nella loro capacità di imporre tributi ai propri consorziati con i privilegi consentiti allo Stato.
Dal successivo Testo Unico 195/1900, che univa le disposizioni della Legge Baccarini e delle Leggi successive, derivò l’importante provvedimento sulla polizia idraulica, tutt’ora vigente (RD 386 del 1904).
Il Regio Decreto 215 del 13 febbraio 1933, "Nuove norme per la bonifica integrale", introdusse il concetto di "bonifica integrale": una innovazione poiché considerò integrate tra loro le opere fondiarie, di qualunque natura tecnica (idrauliche, stradali, edilizie, agricole, forestali), necessarie per adattare terra ed acqua a produzione più intensiva, superando il precedente e più restrittivo concetto di "bonifica idraulica".
La bonifica e il bracciantato:
La nascita delle cooperative braccianti
Le bonifiche idrauliche, prima dell’Era Industriale e l’invenzione macchine a scoppio, avvenivano nelle terre alte mediante l’escavazione di canali per l’allontanamento delle acque, e nelle terre basse mediante il riempimento per colmata delle aree paludose utilizzando i sedimenti portati dai fiumi, le “torbide”. Questo immenso lavoro di bonifica, che ha cambiato radicalmente l’aspetto paesaggistico delle nostre terre, fu opera di uomini, domatori di acque, che hanno letteralmente «costruito» il nostro territorio.
L’8 aprile del 1883 un gruppo di 32 soci si riunì per fondare l’Associazione Generale degli Operai Braccianti del Comune di Ravenna, la prima cooperativa di questo territorio. Tra essi c’era Nullo Baldini, uno dei padri della cooperazione italiana. Scopo primario della cooperativa era l’acquisizione diretta dei lavori, ponendo le basi del riscatto di migliaia e migliaia di braccianti: un obiettivo che fu raggiunto in tempi brevi, perché l’anno successivo quasi 500 braccianti partirono alla volta di Ostia dove bonificarono le malsane paludi dell’Agro Romano e della foce del Tevere trasformandole in terreni coltivabili.
LA BONIFICA LA BONIFICA ATTUALE
Agli inizi del 900 inizia la fase contemporanea della bonifica. lungo la fascia litoranea furono costruiti degli impianti idrovori che scolavano i terreni paludosi con delle pompe. Alla bonifica per colmata si sostituì così la “bonifica meccanica”, iniziata già a fine ‘800 in altri territori. Nell’area a nord di Ravenna veri e propri impianti idrovori, il Fagiolo (1900) e Mandriole (1920), asciugarono i terreni con l’ausilio di alcune piccole pompe dislocate sul territorio che divennero poi nel tempo veri e propri impianti, come l’idrovoro Via Cerba, costruito negli anni Settanta nell’area pinetale per rispondere alle problematiche di un territorio che cambia velocemente. Nell’area litoranea Ravenna - Cervia, dagli anni ’20 agli anni ’40 altri 5 importanti impianti idrovori: il IV Bacino con gli idrovori San Vitale e Rasoni nelle aree litoranee ravennati, il V Bacino a Fosso Ghiaia, il VI Bacino Bevanella a lido di Savio e il VII Bacino Madonna del Pino a Cervia.